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LA RESPONSABILITA’ MEDICA

martedì 6 novembre 2018

Non vi è dubbio alcuno che in un’epoca in cui impera la conoscenza internettiana, il dubbio a prescindere, la mancanza dell’intus-legere (del leggere dentro e oltre), facile e verosimile risulta rintracciabile la responsabilità dei sanitari, soggetti rivestenti ed esercenti un’attività professionale di altissimo prestigio, rilevanza e importanza, poiché coinvolgente la tutela del bene per antonomasia, qual è appunto la vita umana (rectius, la salute umana). 

Il tema non è di poco conto, perché se un per verso logico appare il dover condividere la necessità di tutela rispetto ad un qualcosa (l’intervento dei sanitari e la tutela della salute) di cui si ignorano limiti, confini, regole e conseguenze delle scelte diagnostiche effettuate, per altro verso tale necessità deve altrettanto obbligatoriamente contemperarsi e confrontarsi con quello che può accadere, rientra nell’ordinario svolgersi delle vicende umane e, quindi, altresì dei trattamenti sanitari applicati, operati (più o meno coscientemente) e, malauguratamente, subiti dal paziente. 

Questo necessario prologo, appare ancor più necessario allorquando si consideri di trovarsi nella condizione di dover richiedere risarcimento dei danni patiti a seguito di un qualsivoglia trattamento terapeutico e ci si rapporti (senza documentazione e conoscenza scientifica del caso) con il proprio avvocato di fiducia; questi, salvo aver conseguito la doppia laurea (in giurisprudenza e in medicina), senza il preventivo consulto di un medico legale, difficilmente dovrebbe esporsi a valutazioni di sorta. Chiarisco il concetto: partendo dal presupposto che solo una attenta analisi dei dati della documentazione medica in possesso del presunto danneggiato, può consentire una valutazione della fattibilità di azioni risarcitorie per medical malpractice, tale valutazione non può che essere rimessa a soggetti dalle conoscenze in materia appropriate (medici legali e specialisti del campo in parola) e solo dopo tale vaglio, l’avvocato di turno potrà spingersi nelle sue valutazioni sulla bontà di una causa risarcitoria per responsabilità medica. 

Chi ha già rivestito tale ruolo (di difensore del danneggiato), conosce le difficoltà e il lungo cammino che alle volte si permea di difficoltà diverse da quelle meramente processuali e incorpora aspetti che investono (col proprio cliente) la sofferenza degli accadimenti, le conseguenze pregiudizievoli discendenti dall’inesatto adempimento degli obblighi sanitari, le incongruenze fattuali e morali delle vicende in parola. 

A parte tali personali riflessioni, per passare ad una disanima della materia, non si può prescindere dall’approdo legislativo come precipuamente normato dalla legge Gelli-Bianco (Legge 24/2017 in G.U. del 17 marzo 2017 - in vigore dal 1 aprile 2017), intervenuto dopo la precedente Legge Balduzzi (Legge 189/2012 di conversione del D.L.158/2012). 

Tale normativa, facendo propri gli interventi della Giurisprudenza in materia (tra tutte, la nota Sezioni Unite Gennaio 2008 n.577) ha ricondotto tramite l’articolo 7 della legge, nell’alveo della responsabilità contrattuale la condotta dolosa e colposa di operatori, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura sanitaria. 

Tale alveo ontologico della materia, trova la propria fonte nel contratto di spedalità e contatto sociale, almeno per quanto attiene la responsabilità della struttura sanitaria e, per l’effetto, la prova a fornirsi è quella dell’avvenuta prestazione sanitaria effettuata, l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato; nel mentre, il convenuto (sia esso il sanitario e/o la struttura ospedaliera) sarà tenuto a dimostrare l’esatto adempimento della prestazione medica ospedaliera e che non vi è alcun nesso di causalità tra questa e l’aggravamento del quadro clinico del paziente e/o il danno lamentato. A tal uopo, un distinguo appare imprescindibile: la responsabilità medica non sarà configurabile ogniqualvolta l’aggravamento delle condizioni del paziente sia dipeso da cause del tutto imprevedibili ed eccezionali secondo le conoscenze mediche tempo per tempo esistenti. 

Il danno risarcibile è sia il danno patrimoniale (ossia, tutte le conseguenze negative sotto il profilo economico che il paziente ha subito o subirà a causa della lesione della sua integrità fisica) sia il danno non patrimoniale (ossia, il danno all’integrità psico-fisica, il danno morale e il danno esistenziale) – oltre al danno da perdita del rapporto parentale -. 

Un breve cenno merita altresì la responsabilità medica per omissioni relative al consenso informato. 

L’illecito per la violazione (omissione) del consenso informato sussiste per la semplice ragione che il paziente, a causa del deficit di informazione, non sia stato messo in condizione di assentire al trattamento sanitario con volontà consapevole delle sue implicazioni, con la conseguenza che tale trattamento non può dirsi avvenuto previa prestazione di valido consenso e appare, pertanto, eseguito in contrasto con i precetti di cui agli articoli 32, comma 2 e 13 Cost. e dell’art. 33 della Legge 833/1978: da ciò deriva la lesione della situazione giuridica del paziente, inerente alla salute ed alla integrità fisica, per il caso che esse si presentino peggiorate a causa dell’esecuzione del trattamento. 

In linea di massima, è al contempo inequivoca la possibilità di rintracciare tale fattispecie di responsabilità a prescindere dalla corretta esecuzione della terapia, dovendo quest’ultima ritenersi confacente al solo caso di inesatto adempimento della prestazione sanitaria in esame. 

Concludendo, senza un parere medico legale che accerti secundum scientiam l’inadempimento dei sanitari, fermo restando che gli accadimenti siano avvenuti non prima del tempo necessario perché la possibilità risarcitoria sia prescritta (al massimo, la richiesta deve essere inoltrata entro 10 anni dall’evento sanitario), difficilmente potrà intraprendersi una azione di tal fatta, che vedrà interessati gli istanti dapprima in una mediazione civile obbligatoria (poiché la materia rientra nel campo delle azioni per cui tale rimedio alternativo alla disputa giudiziaria risulta condizione di procedibilità) e, in caso di mancato accordo, in cause dalla lunga durata e coinvolgenti costi non di poco conto.

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