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L'EREDITA' - LE AZIONI A TUTELA DEGLI EREDI

martedì 27 novembre 2018


Non sempre nelle successioni a causa di morte (comunemente “eredità”), i vincoli famigliari più stretti, ricevono quanto dovrebbero.

Tutto ciò ha portato giuristi dell’epoca del diritto romano a immaginare delle azioni (cause) attraverso cui procedere alla tutela del malcapitato parente escluso (parzialmente o totalmente) dall’eredità del defunto.

Tutta la materia è stata ripresa e fatta propria dal nostro Codice civile del 1942, laddove agli articoli 553 e successivi vengono normate le due azioni volte alla predetta tutela: l’azione di riduzione e l’azione di petizione di eredità.

Le due azioni si differenziano poiché mentre la prima ha per scopo la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre e vede quali attori delle controversie il legittimario leso, quello escluso dal testatore, l’erede e l’avente causa del legittimario; la seconda invece, mira ad ottenere la restituzione di beni ereditari da chiunque li detenga, previo riconoscimento della qualità di erede.

Per comprendere meglio ciò di cui si scrive, non si può prescindere da un breve glossario etimologico (spiegazione dei termini utilizzati), dovendo iniziare ovviamente dalla definizione delle tipologie di eredi:

-         Eredi testamentari: tutti coloro i quali succedono nelle posizioni giuridiche del defunto in forza di disposizioni unilaterali testamentarie;

-         Eredi legittimi: tutti coloro i quali succedono nel patrimonio del defunto (intendendosi per tale sia le posizioni attive – crediti e proprietà – che quelle passive – debiti e similari -) in forza di puntuali disposizioni di legge;

-         Eredi legittimari: sono invece dei parenti del defunto (ad iniziare dal coniuge superstite e i figli) a cui la legge riserva espressamente una quota dell’eredità, a prescindere da qualsivoglia disposizione testamentaria.

Ed è proprio in soccorso di quest’ultima categoria che le azioni in parola vengono in rilievo, proprio perché poste a tutela della intangibilità delle cosiddette quote di riserva o di legittima; in buona sostanza, il defunto non può disporre liberamente (sia tramite donazioni, sia tramite testamento) del proprio patrimonio in virtù dei rapporti parentali esistenti al momento del trapasso a miglior vita.

E’ bene a tal proposito chiarire che quando si parla di quote di riserva non si devono considerare tali, delle quote definite in senso qualitativo (ad esempio, una determinata porzione di un immobile caduto in successione), ma tale rappresentazione prevista per legge deve intendersi nel senso quantitativo (per cui, la quota ben può essere soddisfatta pel tramite di un pagamento di somme di denaro equivalenti, laddove esistenti).

Partendo con l’azione di riduzione, la stessa si sviluppa mediante vari passaggi volti a comprendere con esattezza il cosiddetto “asse ereditario” (quindi, con una valutazione estimativa volta alla quantificazione monetaria dei beni ritrovati al momento del decesso del congiunto – relictum – nonché di quanto eventualmente donato (direttamente e indirettamente) in vita.

Una volta operata tale fittizia riunione dell’asse ereditario, bisogna procedere a sottrarre dalle attività, tutte le passività facenti capo al de cuius (i debiti, con i vari distinguo asseconda della natura di questi ultimi).

Dopo tale non facile rappresentazione estimativa (poiché alle volte coinvolgente beni di diversa natura e necessitante accessi non altrettanto facilmente esaudibili – si pensi al caso delle somme esistenti su di un conto corrente esistente al momento del decesso e all’ottenimento da parte del legittimario pretermesso di copia dei dati intelleggibili degli estratti conto -), si dovrà intraprendere una vera e propria causa civile in cui richiedere l’accertamento della qualità di erede (nel caso di pretermissione) e/o la dichiarazione di nullità delle disposizioni testamentarie e/o donazioni effettuate in vita perché lesive delle quote di riserva; infine, procedere con l’ottenimento di un provvedimento che obblighi gli eredi e i terzi detentori alla restituzione delle somme o quantità di beni caduti in successione equivalenti alla quota di riserva lesa.

L’azione di riduzione è soggetta in generale al termine prescrizionale (si può intraprendere) di dieci anni decorrenti dall’apertura della successione (o, da momento successivo in alcuni casi particolari – si pensi tra tutte al riconoscimento della qualità di figlio del defunto avvenuta successivamente rispetto alla predetta apertura della successione -).

Di converso, l’ulteriore azione (petitoria)  ha per oggetto appunto l’acclaramento della qualità di erede e la richiesta di restituzione dei beni detenuti da soggetti titolati o meno rispetto a quanto caduto in successione.

Nonostante possa sembrare simile la tutela apprestata, le due azioni si differenziano proprio perché la seconda è volta a sconfessare la illegittima detenzione di beni caduti in successione da parte di soggetti contestanti appunto la qualità di erede del soggetto interessato (si pensi ad esempio al caso in cui il defunto abbia donato in vita l’unico cespite immobiliare detenuto in favore di uno solo dei due figli, non lasciando alcunché in punto di morte con consequenziale successiva mancata apertura della successione).

Ulteriore differenza esistente tra le due azioni, consiste proprio nel fatto che la seconda, poiché volta all’acquisizione della qualità di erede, è imprescrittibile, per cui potrà essere azionata in qualsiasi momento pur di riuscire a rientrare nella titolarità dei beni del de cuius.

Quantunque le due azioni possano risultare di non pronta comprensione, il diritto successorio come normato dal codice civile vigente, risulta sicuramente normativa chiara e indiscussa; per completezza descrittiva è appena il caso di ricordare, come anche tale materia rientra tra quelle per cui è prevista la procedura alternativa di risoluzione delle controversie della mediazione civile; per cui, ancor prima di intraprendere le predette azioni, necessario ed obbligatorio è il dover percorrere la via risolutiva stragiudiziale.  

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