Non sempre nelle
successioni a causa di morte (comunemente “eredità”), i vincoli famigliari più
stretti, ricevono quanto dovrebbero.
Tutto ciò ha portato
giuristi dell’epoca del diritto romano a immaginare delle azioni (cause)
attraverso cui procedere alla tutela del malcapitato parente escluso
(parzialmente o totalmente) dall’eredità del defunto.
Tutta la materia è
stata ripresa e fatta propria dal nostro Codice civile del 1942, laddove agli
articoli 553 e successivi vengono normate le due azioni volte alla predetta
tutela: l’azione di riduzione e l’azione
di petizione di eredità.
Le due azioni si
differenziano poiché mentre la prima
ha per scopo la riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni
eccedenti la quota di cui il testatore poteva disporre e vede quali attori
delle controversie il legittimario leso, quello escluso dal testatore,
l’erede e l’avente causa del legittimario; la seconda invece, mira ad ottenere la restituzione di beni
ereditari da chiunque li detenga, previo riconoscimento della qualità di
erede.
Per comprendere meglio
ciò di cui si scrive, non si può prescindere da un breve glossario etimologico
(spiegazione dei termini utilizzati), dovendo iniziare ovviamente dalla definizione
delle tipologie di eredi:
-
Eredi testamentari: tutti coloro i quali
succedono nelle posizioni giuridiche del defunto in forza di disposizioni
unilaterali testamentarie;
-
Eredi legittimi: tutti coloro i quali
succedono nel patrimonio del defunto (intendendosi per tale sia le posizioni
attive – crediti e proprietà – che quelle passive – debiti e similari -) in
forza di puntuali disposizioni di legge;
-
Eredi legittimari: sono invece dei
parenti del defunto (ad iniziare dal coniuge superstite e i figli) a cui la
legge riserva espressamente una quota dell’eredità, a prescindere da
qualsivoglia disposizione testamentaria.
Ed è proprio in
soccorso di quest’ultima categoria che le azioni in parola vengono in rilievo,
proprio perché poste a tutela della intangibilità delle cosiddette quote di
riserva o di legittima; in buona sostanza, il defunto non può disporre
liberamente (sia tramite donazioni, sia tramite testamento) del proprio
patrimonio in virtù dei rapporti parentali esistenti al momento del trapasso a
miglior vita.
E’ bene a tal proposito
chiarire che quando si parla di quote di riserva non si devono considerare tali,
delle quote definite in senso qualitativo (ad esempio, una determinata porzione
di un immobile caduto in successione), ma tale rappresentazione prevista per
legge deve intendersi nel senso quantitativo (per cui, la quota ben può essere
soddisfatta pel tramite di un pagamento di somme di denaro equivalenti, laddove
esistenti).
Partendo con l’azione di riduzione, la stessa si
sviluppa mediante vari passaggi volti a comprendere con esattezza il cosiddetto
“asse ereditario” (quindi, con una valutazione estimativa volta alla
quantificazione monetaria dei beni ritrovati al momento del decesso del
congiunto – relictum – nonché di
quanto eventualmente donato (direttamente e indirettamente) in vita.
Una volta operata tale
fittizia riunione dell’asse ereditario, bisogna procedere a sottrarre dalle
attività, tutte le passività facenti capo al de cuius (i debiti, con i vari distinguo asseconda della natura di
questi ultimi).
Dopo tale non facile
rappresentazione estimativa (poiché alle volte coinvolgente beni di diversa
natura e necessitante accessi non altrettanto facilmente esaudibili – si pensi
al caso delle somme esistenti su di un conto corrente esistente al momento del
decesso e all’ottenimento da parte del legittimario pretermesso di copia dei
dati intelleggibili degli estratti conto -), si dovrà intraprendere una vera e
propria causa civile in cui richiedere l’accertamento della qualità di erede
(nel caso di pretermissione) e/o la dichiarazione di nullità delle disposizioni
testamentarie e/o donazioni effettuate in vita perché lesive delle quote di riserva;
infine, procedere con l’ottenimento di un provvedimento che obblighi gli eredi
e i terzi detentori alla restituzione delle somme o quantità di beni caduti in
successione equivalenti alla quota di riserva lesa.
L’azione di riduzione è
soggetta in generale al termine prescrizionale (si può intraprendere) di dieci
anni decorrenti dall’apertura della successione (o, da momento successivo in
alcuni casi particolari – si pensi tra tutte al riconoscimento della qualità di
figlio del defunto avvenuta successivamente rispetto alla predetta apertura
della successione -).
Di converso, l’ulteriore
azione (petitoria) ha per oggetto appunto l’acclaramento della
qualità di erede e la richiesta di restituzione dei beni detenuti da soggetti
titolati o meno rispetto a quanto caduto in successione.
Nonostante possa
sembrare simile la tutela apprestata, le due azioni si differenziano proprio perché
la seconda è volta a sconfessare la illegittima detenzione di beni caduti in
successione da parte di soggetti contestanti appunto la qualità di erede del
soggetto interessato (si pensi ad esempio al caso in cui il defunto abbia
donato in vita l’unico cespite immobiliare detenuto in favore di uno solo dei
due figli, non lasciando alcunché in punto di morte con consequenziale
successiva mancata apertura della successione).
Ulteriore differenza
esistente tra le due azioni, consiste proprio nel fatto che la seconda, poiché volta
all’acquisizione della qualità di erede, è imprescrittibile, per cui potrà
essere azionata in qualsiasi momento pur di riuscire a rientrare nella
titolarità dei beni del de cuius.
Quantunque le due azioni
possano risultare di non pronta comprensione, il diritto successorio come
normato dal codice civile vigente, risulta sicuramente normativa chiara e
indiscussa; per completezza descrittiva è appena il caso di ricordare, come
anche tale materia rientra tra quelle per cui è prevista la procedura
alternativa di risoluzione delle controversie della mediazione civile; per cui,
ancor prima di intraprendere le predette azioni, necessario ed obbligatorio è
il dover percorrere la via risolutiva stragiudiziale.
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